Perseverare è diabolico? (Bologna Marathon)

Diamo un senso.

Partirei da una lunga premessa, o meglio da un sostantivo: perseveranza. Qualche tempo fa ho letto un libro proprio con quel titolo: Perseveranza, di Salvatore Natoli. Dal testo ho estratto alcuni concetti che a mio avviso possono dare un significato più profondo a quello che può essere un banale resoconto.

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Cos’è la perseveranza? Nel linguaggio corrente è una parola caduta praticamente in disuso e comunque senza più rilevanza. In ogni caso ha perso il carattere di virtù. Probabilmente la frase che più comunemente le persone associano a questa parola è “perseverare è diabolico”, il che trasforma la perseveranza da una virtù estremamente importante e positiva in un’azione assolutamente negativa.

In realtà questa parola per secoli ha indicato lo stile morale necessario per tenere fede alle proprie convinzioni a fronte delle più dure difficoltà. Venendo poi meno il significato originale, di conseguenza è venuta meno anche la pratica della perseveranza.

Nella nostra società moderna, altalenante tra “flessibilità” e “provvisorietà”, che spinge ad adattarsi sempre alle situazioni, quale significato può avere la perseveranza? È solo un esercizio inutile e fuori moda per incapponirsi su qualcosa? I tempi cambiano e la società si deve adattare? No, il significato di perseveranza è proprio l’opposto: è un modo di agire caratterizzato dalla persistenza nel tempo e dalla tenuta

Possiamo anche dire che è una virtù indipendente dal tipo di motivazione che la alimenta, infatti si può essere perseveranti negli studi, nella dieta, nello sport, nella fede e in tanti altri ambiti.

In greco la parola perseveranza deriva dal verbo Kartereo che esige l’essere forte, nel senso di mantenersi saldi nel tempo, soprattutto a fronte e in mezzo alle difficoltà. Karteria può essere tradotto anche con costanza e perfino con pazienza e quindi comprendiamo come questi termini, anche se con sfumature diverse, possono considerarsi quasi sinonimi. 

La costanza deve reggere contro eventi esterni e variabili, la perseveranza deve fare i conti con e contro sé stessi, con la propria propensione all’indolenza. La pazienza invece si attiva quando non si possono modificare le proprie condizioni, quindi quando si è in stato di passività (gli infortuni, vero Beppe, Elisa e Nadia?). Essere pazienti vuole dire quindi non farsi abbattere da ciò che stronca e schiaccia, quindi non ci si rassegna e non ci si ribella, solo si dà tempo.

È possibile che la perseveranza degeneri in vizio, per difetto in rammollimento e per eccesso in testardaggine.

Il rammollimento, essendo un cedimento può arrivare spontaneamente infatti è più facile cedere a ciò che trascina, piuttosto che opporvi resistenza. Insomma, non ci vuole molto impegno a rammollirsi, basta semplicemente lasciarsi andare. Cosa può provocare il rammollimento? Sicuramente i piaceri, perché mai infatti recedere dal piacere se, appunto, dà piacere?

La perseveranza praticata in eccesso si tramuta invece in ostinazione, testardaggine. Il significato della parola ricorda l’impudenza, la sfacciataggine. Non si tiene presente solo la meta finale ma si vuole rendere evidente la propria eccellenza. Il testardo non vuol mettere in discussione la sua convinzione e s’incaponisce nella sua scelta senza sentire ragioni. Insiste perché non ha il coraggio di smentirsi anche quando ciò in cui ha creduto non ha più realisticamente sbocchi possibili. Non è più questione di fedeltà ma solo di cecità.

La differenza tra il perseverante e il testardo è che il primo non cede alle difficoltà e apprende da esse. Il testardo si rifiuta di imparare dai fatti e persiste nell’errore. In questo caso il detto “persevarare è diabolico” è quanto mai appropriato poiché la perseveranza indirizzata male diventa solo un vizio. Per praticare una sana perseveranza è quindi necessario essere saggi.

“NULLA PUÒ ESSERE MAI CONQUISTATO SE VIENE ABBANDONATO”

Quindici settimane

Vista la premessa, arriviamo alla tanto agognata maratona di Bologna, dopo due rimandi per Covid (la prima volta a circa una settimana dal via) alla fine si è svolta domenica 31 ottobre 2021, in una tipica giornata autunnale padana. Ma la gara in sè, di cui vi racconterò, è solo la punta dell’iceberg delle 15 settimane di “passione” che la precedono; di queste mi piacerebbe parlare, più che altro per far bella mostra delle foto vacanziere…

Chi ha famiglia sa che non è sempre facile far combaciare tutti gli impegni e spesso e volentieri occorre gestire numerosi accavallamenti, ad esempio può capitare di doversi allenare in vacanza, dove sei con una sola macchina che serve obbligatoriamente per spostarsi, in un luogo in cui non sei mai stato prima e sprovvisto di percorsi in pianura. Ecco, siamo infatti nella splendida Marina di Camerota, nella foto la celeberrima Baia degli Infreschi.

Per raggiungerla si può seguire un sentiero molto accidentato (e assolato) di circa 10km tra andata e ritorno, ma con oltre 500 mt. di dislivello, immersi nei profumi della macchia mediterranea. Questo era l’unico sentiero ben segnato, perché l’altro che porta a Capo Palinuro, seppur teoricamente segnato, mi ha fatto drammaticamente perdere in mezzo al nulla!

Nel trail che porta a Baia degli Infreschi si può accorciare un km o due deviando per la bellissima Cala Bianca, un piccolo anfratto la cui spiagga è composta, appunto, da ciottoli bianchi che rendono il colore del mare spettacolare.

Non potevo però ammazzarmi sempre di salite, per cui ho iniziato a cercare qualche alternativa; l’unico tratto in pianura era la strada statale che porta a Palinuro, ma qui non c’è ombra di marciapiede nè spazio per correre, va bene tutto ma meglio tornare a casa vivo! Cerco ancora e vedo una strada che porta a un paese a 5 km dalla Marina, si chiama Lentiscosa e per raggiungerlo bisogna scalare una serie di tornanti che in realtà hanno una pendenza quasi dolce, solo 250 mt il dislivello, la metà del trail e per giunta su strada (appena) asfaltata.

Per poter tornare a un orario decente la mattina esco presto e imbocco questa sorta di “Stelvio“, il primo tratto è bellissimo, tutto all’ombra della montagna e il fresco ti ripaga della levataccia, anche la vista è mozzafiato e all’arrivo in paese c’è una fontana da cui sgorga acqua fresca, è perfetto. Qui scoprirò anche un’osteria meravigliosa dove mangiare la maracucciata, un piatto tipico proprio di questo paese.

Diciamo che queste due settimane di inizio allenamento mi sono servite per fare tanta “forza” (ripetute e lunghi in salita), e di ciò penso di averne giovato nel proseguio dei lavori. Giusto per tornare in tema di compromessi: per poter gestire il tutto non potevo mangiare troppo la sera (e qui nel Cilento capite che non era affatto facile) né fare eccessivamente tardi, pena il non riuscire a tirarsi fuori dal letto la mattina dopo.

Tornati a casa a fine luglio, in piena calura estiva, sono costretto a uscire la mattina presto e trovo un grande alleato e compagno di avventure in Antonio che con il suo lavoro di pizzaiolo riesce ad avere sempre il tempo di un allenamento mattiniero. Facciamo salite, allenamenti veloci, lenti, ripetute e anche lui non molla di un millimetro (vedi appunto perseveranza e costanza). Lui pensa di rallentarmi ma, non diteglielo, in realtà mi ha fatto andare più veloce, questa maratona è anche sua!

Non voglio tediarvi con l’elenco degli infortuni, tanto non mi credete, ma sapete bene che c’è sempre da lottare con qualche brutto fastidio e non è mai facile trovare la giusta soluzione in tempi ragionevoli (vedi pazienza). Ginocchio destro (come spesso capita) poi dal lato opposto, poi una sorta di sciatalgia e nel mezzo di tutto ciò alcune gare come la Cortina-Dobbiaco, un’ottima mezza a Ferrara (1:35) e una super mezza a Foligno (1:33 inaspettato), dopo tre giorni di “fermo-causa-infiammazione” (unico allenamento saltato in 3 mesi, vedi costanza).

Le 15 settimane di “lavori” possono sembrare poca cosa, ma facendo due conti sono 60 corse e (almeno per me) ottocentocinquantacinque chilometri! L’età avanza e, come per le auto, la “carrozzeria” inizia a dare qualche segno di cedimento. Ma cerchiamo di perseverare (sperando di non diventare testardi), parlo al plurale perché con me anche Luca, Roberto e Fabio hanno perseguito l’obiettivo con successo (oltre le previsioni). Oltre a noi voglio citare anche Gianni e l’unica donna (superstite) Michela che hanno corso la versione competitiva della 30 km. Degli infortunati, purtroppo, ho già detto prima.

Il “giorno del giudizio”

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone, tra cui Luca Neri e persone in piedi

Questo è tutto il “prima” (non proprio tutto, ma tant’è), per quanto riguarda “durante” la maratona c’è poco da dire, sono partito abbastanza forte e ho cercato di tenere duro fino al termine. Grazie a Dio i vari dolori sono sempre stati sotto controllo, facile non è stato di sicuro, ma ho trovato un ottimo compagno di corsa che per oltre metà gara mi ha aiutato molto dal punto di vista psicologico, specie nei sette infiniti chilometri finali, con il passaggio dai Giardini e l’entrata nel centro storico, cercando di fare la gincana tra le persone e non crollare nei sassi di piazza Santo Stefano.

Ora che sto metabolizzando, davvero non mi capacito di come abbia fatto ad arrivare in fondo in sole 3 ore e 16 minuti. Forse il senso è davvero tutto nella premessa 😉

Dulcis in fundo, vogliamo spendere qualche parola sul nostro fantastico, rumoroso, unico gruppo di supporter? Il coach Daniele per aver fatto (letteralmente) il portaborse, Nadia per aver organizzato un vero e proprio tifo da stadio insieme alle Antonelle, Chicco, Mauro e Sara. Michele e Corrado a inseguirci per fare le foto, siete stati fantastici e fondamentali! Ecco foto e qualche video per rendersi conto della carica!

Passaggio sul ponte di via Libia
Incrocio ai Giardini Margherita

Epilogo

Non voglio aggiungere molto altro, se non che ho trovato in rete questo bellissimo Diario di Chiara il quale racchiude in 42 lezioni (consultabili a questo link) tutte le impressioni della preparazione alla sua prima corsa sulla distanza regina. Ah, il paragone è impietoso, lei scrive veramente bene!

Cito un passaggio dall’ultima “Lezione n. 42, 195: Sui tuoi passi“, ma è tutto molto interessante:

La prima volta che indossi le scarpe da corsa, non sai dove ti porteranno.

Le infili ai piedi quasi per caso, senza renderti conto che non smetterai mai più di correre.

Sui tuoi passi scorreranno dapprima sporadiche uscite, solitarie, che poi si trasformeranno in appuntamenti costanti e quindi, in allenamenti irrinunciabili.

Sui tuoi passi, i dolori della vita scivoleranno via, per lasciare spazio alla gioia di ogni respiro, alla festa di ogni gara.

Sui tuoi passi l’esperienza del correre si trasformerà da solitaria che era, in un gioco di complicità, di lacrime e traguardi condivisi, di medaglie e magliette nuove, fino a che non ti sentirai parte di un’essenza universale, che avvertirai in modo tangibile ma che non saprai spiegare.

E un giorno, quei passi, ti porteranno allo start di una distanza che qualche anno prima non avresti nemmeno contemplato.

La distanza regina di 42 km e 195 metri sarà dinanzi a te.

Sui tuoi passi la percorrerai e ti sarà chiaro tutto il tragitto che negli anni ti ha portato fin li: ogni arresto, ogni progresso, ogni infortunio, ogni premio.

Nel tuo cuore sentirai la gratitudine per l’immenso dono ricevuto, e per tutte le persone che ti hanno sostenuto e incoraggiato, e che hanno creduto nella possibilità che tu arrivassi fino in fondo, prima ancora che tu stessa ci credessi. […]

Per concludere in bellezza, tornando all’intro, sul veliero Amerigo Vespucci (nave scuola della Marina Militare per l’addestramento degli allievi ufficiali) è presente dal 1978 il motto, attribuito a Leonardo Da Vinci: “non chi comincia, ma quel che persevera”. 

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