Tu vuò fà l’americano… (NYC 2019)

L’idea

Ebbene sì, alla fine anche New York è andata! All’inizio dell’anno si parlava di programmare la maratona annuale e visto che alcuni di noi raggiungevano la “mezza età”, quale migliore occasione per organizzare una trasferta così complessa e avvincente.

Complessa perché New York non è una maratona come le altre, e questo lo abbiamo scoperto in fase di organizzazione: pettorali ottenibili solo tramite tour operator (eccetto rari casi), costi decisamente elevati e tante scelte da fare in fase preliminare, poi gli alberghi, il passaporto, il visto per gli USA, l’assicurazione, insomma avete capito.

La preparazione

Riusciamo a impostare un gruppo composto da 9 atleti e 4 accompagnatori (incluso mia figlia maggiore) e ci troviamo varie volte per definire tutta la logistica, poi con il passare dei mesi si avvicina il momento di iniziare la preparazione. All’inizio dei tre mesi canonici di allenamento mirato sto piuttosto bene, sono già abbastanza preparato e infatti arrivo ad agosto in buona forma, pronto per affrontare uscite difficili nei percorsi insidiosi della Calabria. Purtroppo però la mia stupidità prevale (tutta esperienza si dice) e proprio alla fine della vacanza rimedio un problema alla coscia sinistra a causa delle troppe “discese ardite”. 

Inizio a zoppicare vistosamente, il medico dice che potrebbe essere una cruralgia dovuta alla schiacciamento di due dischi lombari che provocano una infiammazione e quindi l’instabilità e il dolore alla coscia sinistra. Anche dopo essermi fermato una settimana però la cosa non migliora. Terapia d’urto con antinfiammatori (mio malgrado) e dopo sembra andare meglio, riesco a fare qualche “lungo” fino a 36 km molto bene ma probabilmente corro caricando troppo sulla gamba opposta e a un mese dal via inizio ad avere un problema ben peggiore al ginocchio destro. Qui calo molto il chilometraggio per cercare di risolvere più rapidamente, mi sottopongo anche a qualche terapia e vedo che il ginocchio ha un’autonomia tra i 10 e i 18 km, purtroppo non sufficienti per correre una maratona. 

Questo periodo è stato molto frustrante, ero addirittura in dubbio di non partire, poi un po’ l’osteopata mi ha rincuorato e facendomi due conti ho pensato che sarei stato nel tempo massimo anche camminando, quindi mi sono detto: proviamoci! 

Tra l’altro avevamo nel frattempo avuto il materiale tecnico dal nostro sponsor ed era praticamente tutto pronto. A proposito del materiale, nei vari “tips” consultati per la maratona ho letto proprio all’ultimo momento che consigliavano di mettere il proprio nome sulla maglia per avere un “incitamento personalizzato”; ho pensato che avrei avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile quindi il pomeriggio prima della partenza mi fiondo a farmi stampare il nome.

Qualche giorno prima del volo il nostro responsabile della società ci chiede di fornirgli un comunicato sulla nostra prossima avventura, di questo se ne è occupata la nostra Annalisa che ha sfornato questo bellissimo testo (a cui ho solo aggiunto un paio di cose, vista la sua modestia nell’autodefinirsi), in questo modo conoscerete tutti i miei compagni di merende:

A volte nella vita, quando ne hai già vissuta circa metà, decidi di intraprendere percorsi che non avresti mai immaginato. È quello che è successo a un gruppo di amici di Sasso Marconi, che, chi prima chi dopo, qualche anno fa si sono incontrati e hanno iniziato a correre.

Ognuno per i propri motivi, chi per rimettersi in forma, chi per rilassarsi, chi per migliorare, chi perché lo faceva da giovane, chi perché non l’aveva mai fatto, ma tutti per stare in compagnia e condividere fatica e divertimento, creando il Gruppo Master CSI Sasso Marconi, o più (im)propriamente detti “tapascioni”.

Già da diversi anni li vediamo correre per il paese, non sempre le stesse facce, qualcuno ha lasciato altri hanno cominciato. A volte possiamo vederli anche nella pista di atletica di Ca’ de Testi allenarsi seriamente prima di qualche gara; e con il passar del tempo queste competizioni sono sempre aumentate di lunghezza: dalle brevi campestri ai 10 km, poi le mezze maratone e infine, chi l’avrebbe mai detto, maratone complete.

E questa volta la corsa sulla distanza di Filippide li porterà a condividere un’esperienza incredibile, di quelle che fino a qualche anno fa di sicuro molti di loro non avrebbero mai contemplato tra le cose da fare almeno una volta nella vita: il prossimo 3 novembre parteciperanno alla più celebre e prestigiosa maratona del globo, quella di New York.

Si stanno preparando dall’inizio dell’estate con allenamenti impegnativi, con qualsiasi condizione climatica e, vista la passata estate rovente, cercando di sfruttare gli orari più improbi per non essere fiaccati dalla calura. Sempre con il sorriso nonostante l’inevitabile fatica. Ma conosciamoli un po’…

DANIELE, il coach, da sempre pilastro del gruppo, è il punto di riferimento per la preparazione e le competizioni. Ultimamente si allena senza orologio perché, a suo dire, non vuole essere schiavo del tempo ma vuole correre per il piacere di farlo; l’importante però è non superarlo in gara, a quel punto si mette a pestare come se non ci fosse un domani per arrivare davanti. IMPRESCINDIBILE.

FABIO, altro storico membro del gruppo, nonostante a volte sia necessario aumentare il carico di allenamento in vista di gare, lui non fa una piega e continua a correre come e quanto gli pare perché “ci vuole della calma”. Il tempo però gli ha dato ragione, quando vuole ottiene risultati inaspettati. SAGGIO.

MARIO, anche lui nel gruppo da sempre, è l’uomo cui affidarsi quando si partecipa alle prime sfide (ma anche alle successive), sempre disponibile a correre in compagnia e portarti alla fine anche quando vorresti fermarti perché hai “finito le gambe”. Ama molto la birra, ma si sa, quando si corre poi viene sete… INDISPENSABILE.

MARCO, “punta di diamante” del gruppo, si allena con passione e serietà con qualsiasi clima e a qualsiasi ora, ottenendo risultati a volte strabilianti. Anche a tavola è un campione: impossibile mangiare più di lui! INARRIVABILE.

LUCA, reduce dalla maratona di Berlino del 29 settembre dove ha ottenuto un risultato incredibile, per lui, niente riposo ma altro allenamento fino a New York dove, beato lui, non avrà nulla da dimostrare e potrà godersi appieno l’atmosfera… Quando corre sembra non sentire la fatica. PUROSANGUE.

CORRADO, sempre pronto alla battuta e allo scherzo, ma quando si tratta di mettersi alla prova diventa una tigre pronta per la caccia, la sua preda è il “personal best” che in ogni competizione cerca sempre di ottenere… MACCHINA DA GUERRA.

ROBERTO, tentò l’impresa nel 2012, ma l’uragano Sandy spazzò via il suo sogno. La fatica per la preparazione e il dispiacere per non aver potuto gareggiare gli fecero credere che non avrebbe mai partecipato alla maratona di New York. Mai dire mai, il suo sogno era solo riposto in un cassetto ed ora è pronto per realizzarsi. DETERMINATO.

NADIA, entra nel gruppo insieme ad una folta comitiva di donzelle solo per una sciagurata scommessa persa dal coach, ma è l’unica che anche dopo anni resisterà al duro lavoro in pista, su strada e nei sentieri. Fedele alla causa anche quando costretta ad allenarsi in solitaria. PERSEVERANTE.

ANNALISA, il primo aggettivo che le si potrebbe associare sarebbe l’umiltà, ma non fatevi ingannare, siccome è la donna più bersagliata del gruppo nelle uscite comuni, anche perché spesso è l’unica, ha sviluppato una tenacia fuori dal comune e nulla ormai può scalfirla. Non molla mai, ed è per questo che a New York vi stupirà (ma non fateglielo leggere questo)… RESILIENTE.

A circa una settimana dal via la preparazione è pressoché conclusa, tutti hanno confermato la partecipazione nonostante i più o meno gravi acciacchi, partenza giovedì 31 ottobre.

La partenza

Arriva il giorno della partenza, sveglia molto (ma molto) prima dell’alba (tre e mezza), io non ho dormito praticamente niente, infatti quella sera (non so se per l’agitazione o per quello che ho mangiato) ho il cuore che verso mezzanotte inizia a fare il “matto” e mille pensieri negativi mi assalgono: dalla possibilità di non partire se non passa la crisi a “ma perché proprio stasera dopo molti mesi senza problemi”? Apro la mia Bibbia e ricevo consolazione e coraggio, provo a dormire ma non è facile, parte la sveglia e a fatica mi alzo e faccio una mini colazione, dopo poco il cuore si riprende e ciò mi rende estremamente felice, ho il “via libera” .

In aeroporto (durante lo scalo di Roma) ci arriva la notizia che il giornale “Stadio” di Bologna ha ripubblicato il testo di cui sopra quasi integralmente, con tanto di nostra foto e articolo a pagina intera. Sembra che dovremo fare chissà quale impresa… 🙂

Il viaggio è una bella massacrata, avere le gambe lunghe non aiuta in “classe economy”, inoltre ci sono parecchie turbolenze, comunque tra un mini-sonnellino e l’altro si arriva a destinazione in perfetto orario, alle 14:30 siamo al JFK per i (lunghi) controlli doganali. Superiamo tutti questo primo check e riusciamo ad andare in albergo e poi subito ci togliamo il dente del ritiro pettorali, così nei giorni seguenti potremo essere liberi di fare i turisti.

Il villaggio della maratona è gigantesco, sono super organizzati e non ci sono code, c’è anche la zona dove potersi provare le magliette prima di ritirare quella della taglia giusta (si sa, negli USA le taglie sono ben diverse dalle nostre) e poi uno store di articoli sportivi tanto grande quanto caro e infine gadget di ogni tipo. Cena al volo in un take-away lungo la strada del ritorno, un giro veloce a Times Square e poi siamo talmente cotti che alle 22 siamo già in branda per la buonanotte.

Venerdì 1 novembre

La mattina prima delle 6 siamo già quasi tutti svegli, nella nostra “camerata” da 5 ci chiediamo cosa fare, e decidiamo per una corsetta a Central Park che dal nostro hotel dista poco più di 1 miglio (ci caliamo nel sistema imperiale). Ci messaggiamo con gli altri e riusciamo a fare un gruppo da 7, comprese le nostre due superdonne, che se non le avessimo invitate ci avrebbero sicuramente cancellato dalla lista delle amicizie.

Per le 6.45 usciamo, l’aria è fredda e pungente, il tempo splendido, il vento ha spazzato via le nuvole del giorno prima e c’è una luce fantastica. Per andare a Central Park imbocchiamo la 5a strada, ma sono più le volte che ci fermiamo a fare foto che i momenti di corsa. Siamo talmente euforici che rischiamo di farci prendere sotto a qualche semaforo. A Central Park facciamo un giro breve perché è già tardi, c’è comunque già molta gente che corre, e l’italiano sembra una lingua molto in voga. Un ragazzo ci fa una foto spettacolare con lo sfondo dei grattacieli di Manhattan, immagine che poi il Carlino riprenderà il giorno dopo tagliando però malamente lo skyline newyorchese.

Poco dopo le 8 siamo pronti per la colazione e iniziare il nostro tour per la città, prima tappa la metropolitana per fare il ticket settimanale. Qui scopriamo subito diverse cosine interessanti, un ragazzo che dice di lavorare per la metro ci fa fare dei biglietti e intanto si intasca qualche spicciolo di percentuale, un altro tizio invece riesce a fregarci 50 dollari con estrema disinvoltura. Insomma, abbiamo subito capito che bisogna stare in campana! Comunque, facciamo buon viso a cattiva sorte e ci dirigiamo verso Castle Clinton e poi verso il Financial District con Wall Street, il famoso toro (con gli attributi che qualcuno ha toccato sperando fosse di buon auspicio) e il ponte di Brooklyn per prendere il battello e fare un giro sull’Hudson in cui vedremo la statua della Libertà, Manhattan e tanto tanto vento. Dopo è la volta della visita a Ground Zero (molto toccante) passando dal World Trade Center. Una bella passeggiata per SoHo, quartiere molto caratteristico e rientro in albergo per riposarsi un attimo. I momenti esilaranti non mancano e le foto sono tantissime…

La sera proviamo un localino a Brooklyn, la birra è buona ma il cibo lascia un po’ a desiderare, ne approfittiamo però per vedere il ponte e Manhattan illuminati, un vero spettacolo. Andiamo a dormire piuttosto stanchi…

Sabato 2 novembre

Appena alzati, sempre di buon ora, riceviamo la notizia che hanno pubblicato sul Carlino Bologna la nostra foto di Central Park, alcuni del gruppo vanno a fare una corsetta per bissare quella di venerdì, e altri tra cui io e mia figlia prendiamo la metro per raggiungerli e fare qualche foto all’alba. Scopriamo però, sul campo, che esistono due tipi di linee metropolitane, quella local e quella express. Sfortunatamente prendiamo la express e capiamo subito cosa significa, ovverò salterà un bel numero di fermate fino a farci scendere al confine estremo di Manhattan, torniamo indietro subito ma ormai è tardi per incontrare gli altri. I colori di Central Park sono comunuque magnifici, anche oggi è una splendida giornata di sole (e vento).

Il gruppo oggi si divide, noi andiamo a visitare il museo di Storia Naturale (quello del film Una notte al Museo), molto bello e interessante ma enorme, camminare così tanto il giorno prima della maratona non è una grande idea. Ormai comunque l’elettricità della City ha preso il sopravvento, non penso più alla gara, sarà quel che sarà, preferisco godermi questi momenti bellissimi. Dopo il museo ci mangiamo la nostra immancabile insalatona sulle rive del laghetto di Central Park, con vista sui grattacieli.

Si rientra in albergo, 5 minuti di riposo e poi di nuovo fuori per andare sull’Empire State Building prima del tramonto. Ci dicono che bisognerà fare un’ora di coda, ma andiamo lo stesso e alla fine sarà molto più rapida. All’entrata ti fanno fare un gran giro tra maxi schermi e altre amenità americane, poi si sale (in un lampo si fanno 75 piani, e lo sentiremo poi) e dopo altri 11 per arrivare fino all’ottantaseiesimo dove si può uscire per la vista panoramica.

Che dire? Emozionante, spettacolare, magnetico, tanti aggettivi che non possono descrivere quello che si prova “dal vivo”. Scendiamo solo perché fa un gran freddo.

La sera andiamo tutti a mangiare in un take away che fa pasta e riso per il famoso “carico di carboidrati”. Il riso era immangiabile (spaccadenti da quanto era secco), la pasta non ne parliamo, ma vabbè, ci rifaremo in Italia. Prendo una buona birra IPA locale che almeno vado sul sicuro e poi rientro in albergo per dare un po’ di sollievo alle gambe dolenti, meno male che hanno il distributore di ghiaccio. Si preparano tutte le sacche per la mattina dopo perché la partenza dall’albergo sarà alle 5:45, ma qui il cambio dell’ora legale/solare è proprio questa notte, almeno dormiremo un’ora in più (per chi ci riuscirà).

Domenica 3 novembre (Marathon Day)

Il giorno fatidico è arrivato, sono indeciso se correre con la ginocchiera oppure fare un taping elastico. Decido per quest’ultimo in quanto la ginocchiera dopo alcune ore diventa molto fastidiosa da portare; devo dire che il taping mi riesce molto bene (mi ero esercitato a casa), sembra quasi una protesi bionica – chissà se servirà a qualcosa. 

Facciamo colazione (io solo una fetta di pane con il miele e un po’ di caffé) e poi si sale sul torpedone. Nel giro di breve il pullman sarà pieno, il cielo è ancora buio e si avverte la tensione della gara, ma fa caldo, troppo caldo, chiediamo all’autista di accendere il climatizzatore ma la situazione non cambia molto. Iniziamo a sudare e spogliarci, iniziano a volare battute tra di noi tanto che ridiamo fino al mal di pancia per via di alcune situazioni veramente esilaranti. Gli altri ci guardano un po’ straniti e forse infastiditi, ma almeno riusciamo a sdrammatizzare il momento. Il viaggio per la linea di partenza durerà infatti quasi due ore a causa del traffico.

Nel villaggio allestito alla partenza presso il Ponte di Verrazzano abbiamo giusto il tempo di cambiarci, fare qualche foto e andare un’ultima volta in bagno, poi io devo già correre verso le griglie di partenza perché partirò mezz’ora prima degli altri. A New York ci sono talmente tante persone (i pettorali arrivavano a 75.000 quest’anno) che hanno diviso la partenza in quattro ondate distanziate di 30 minuti. Ogni ondata a sua volta è suddivisa in 3 colori, uno per ogni corsia del Ponte di Verrazzano, poco dopo il ponte queste 3 corsie si torneranno a unire per formare un’unica scia.

Subito prima del via mi disfo dei vestiti portati per tenermi caldo (è una giornata splendida ma molto fredda), ci sono associazioni che li raccolgono per poi distribuirli a fini benefici. Ci avviamo verso la linea di partenza, mentre siamo radunati lo speaker annuncia l’inno americano, momento molto emozionante, poi un lancio di coriandoli e poco dopo lo sparo.

Si parte subito con una collina (il ponte), quindi cerco di andare abbastanza tranquillo e faccio anche un piccolo video, sotto al ponte c’è lo spettacolo della barca dei Vigili del Fuoco che spara acqua dai cannoni, sopra il ponte ronzano diversi elicotteri, il tutto è elettrizzante!

Il ponte è lungo in tutto circa 3 km, dopo si entra a Brooklyn dove si segue uno stradone infinito che ci condurrà verso Manhattan. L’incitamento e il folklore della gente è indescrivibile, non si può raccontare, aver messo il nome sulla maglietta è stata una decisione eccellente, tanto che alle volte devo cercare di nascondermi verso il centro della carreggiata altrimenti la carica che ti dà il pubblico diventa eccessiva e il passo aumenta troppo. Siamo ancora all’inizio e bisogna risparmiare le energie.

Qui è pieno di sudamericani, è tutto molto bello e colorato, si vedono i cartelli più disparati e tanti bambini che ti vogliono dare il “cinque” quando passi, che meraviglia. I chilometri passano abbastanza in fretta, il pubblico è sempre sentitamente partecipe eccetto quando passiamo per il quartiere ebraico, domenica per loro è una normale giornata lavorativa e ci guardano un po’ straniti. Riesco a tenere un buon ritmo fino al 25mo km e anche il dolore al ginocchio è sopportabile, a questo punto però c’è da attraversare il Queensboro Bridge, un ponte di due chilometri la cui salita sembra non finire mai. Qui iniziano già le prime defaillances, c’è diversa gente che cammina e alcuni fanno stretching. Io rallento un po’ per affrontare la salita ma i problemi maggiori li avrò in discesa, dove il ginocchio inizierà a darmi qualche noia più seria. Prego di riuscire ad andare avanti…

Siamo sulla 1a Avenue all’altezza della 59ma strada, andiamo su per attraversare tutta Manhattan e dirigerci verso il Bronx, anche qui gran tifo durante tutto il tragitto e io continuo a fare la spola tra le ali di folla per caricarmi e poi nascondermi al centro per non strafare. I gruppi che suonano sono fantastici, ci sono anche dei cori gospel fuori dalle chiese a salutarci! Il Bronx (ovvero, un pezzettino) lo passiamo al 32mo km, per poi rientrare a Manhattan sulla 5a Avenue. 

Quando scendiamo dai ponti il mio ginocchio fa cose strane, a volte sento la gamba che cede ma sono pochi (ma tragici) istanti. Dritti verso Central Park incontriamo una salita tra i km 37 e 39 che mi fiacca le gambe. Ora cerco di stare verso le ali di folla perché ho bisogno di tutto il “doping da tifo” possibile.

Dopo la salita entriamo finalmente a Central Park, il mio orologio mente, dice che ho fatto già 40 km ma in realtà i cartelli ufficiali ne segnano 39, manca comunque poco. Ho iniziato già da un po’ a rallentare leggermente, la stanchezza (e i relativamente pochi allenamenti) si fanno sentire. A 2 km dalla fine sento che mi sta per arrivare un brutto crampo dietro al muscolo del grande gluteo e immagino sia una cosa poco simpatica, per cui al ristoro prendo un po’ di sali e cammino qualche centinaio di metri per fare passare quella sensazione, anche qui i ragazzi del ristoro mi incitano per nome. Riprendo a correre e sembra andare decentemente, ovvero il ginocchio è in fiamme ma almeno non ho più i sintomi del crampo.

Vedo in lontananza la zona dell’arrivo che avevamo visitato qualche giorno prima, è quasi fatta, mancano 400 metri che sembrano non finire mai, mi supera il pacer delle 3h30′ e cerco di stargli attaccato ma non è facile, vedo l’arco con la Finish Line, sembra un sogno, è finita, ringrazio Dio, pianto liberatorio, ritiro la medaglia e 20 metri dopo zoppico già come un cretino. Non riesco ad aspettare gli altri perché all’arrivo ti obbligano praticamente ad andare oltre per ritirare i tuoi vestiti, pazienza ci incontreremo in albergo. Mi cambio, foto di rito e poi zoppicando “di corsa” a prendere la metro.

Mia figlia è già lì ad aspettarmi per andare a pranzare, mi faccio la doccia e ci fiondiamo in uno di quei robi cino-giapponesi che fanno quelle zuppe strane. Beh, molto buona, reintegro di proteine fatto. Usciamo dal ristorante e ci incontriamo con gli altri, è andata molto bene, dopo di me Corrado con un gran tempo, Annalisa galattica (record personale), Daniele che le ha fatto da spalla insieme a Luca, poi Roberto sotto le 4 ore, Nadia incredibile, Mario e Fabio (anche lui stoico con problemi a un piede) che hanno tenuto botta fino alla fine di questa maratona veramente dura.

Nella chat whatsapp del gruppo ho scoperto poi che ci stavano seguendo in diretta tramite app facendo il tifo da casa, rileggere la cronaca di quei momenti è stato emozionante, grazie a tutti per il supporto! La sera riposo? Macché, al Madison Square Garden per vedere l’NBA!

Post-maratona

Lunedì mattina abbiamo fatto un giretto interessante a Chinatown, poi ci siamo divisi e io con mia figlia siamo andati a visitare il Metropolitan Museum, un luogo d’arte immenso impossibile da visitare in un giorno, ma neanche in due o tre. Il biglietto infatti vale tre giorni consecutivi e noi ci abbiamo dedicato il lunedì pomeriggio e il martedì mattina cercando di vedere (velocemente) le cose che più ci interessavano.

Lunedì sera torniamo a Times Square per andare a cenare dall’immancabile Bubba Gump, il posto è decisamente turistico, così come il nostro oste che ci intratterrà alla fine con un quiz sul film. A me portano un piatto con una settantina di gamberoni sgusciati che finisco a fatica, il conto è abbastanza salato ma almeno una volta bisognava fare questa esperienza. Nel post cena torniamo a Brooklyn con la metro per fare qualche foto dal ponte e anche due passi per smaltire il cibo. I dolori alle gambe iniziano già a scemare.

Martedì esce un nuovo articolo sul Carlino (e in seguito i complimenti social del sindaco) con la nostra foto al villaggio di partenza della maratona e i risultati di tutti i bolognesi in gara, che onore! Alle 13.35 il pullman per l’aeroporto ci stava aspettando, partenza ore 17:35 locali; il viaggio di ritorno devo dire che è stato decisamente più rapido (tre ore in meno la traversata transoceanica), mercoledì mattina alle 10:45 eravamo a Bologna e poco dopo a Sasso.

Finisce così anche questa avventura, impossibile da dimenticare! Molte cose sono state omesse per ragioni di sintesi, abbiamo vissuto momenti incredibilmente belli passati con un gruppo fantastico e affiatato, estremamente divertente e scanzonato, con cui si sono creati dei forti legami, tanto che il lato più agonistico (sebbene importante) è decisamente passato in secondo piano. Beh ora basta sennò mi commuovo…

Ah, dimenticavo, direi che gli aggettivi proposti nell’articolo pre-maratona si sono confermati alla lettera.

Grazie a Dio per questo regalo non meritato e grazie ad Annalisa, Nadia, Daniele, Fabio, Marinella, Mario, Luca, Corrado, Manuela, Roberto, Silvia e Lucrezia per questa epica avventura!

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